Shnergle: sapete cosa vuol dire? Io no. Potete intuirlo? Io no.
Robert Tregaskes e Johnny Bull, due imprenditori inglesi, sostengono però che il termine è ben noto ad oltre 10.000 militari inglesi. E questo, secondo loro, lo rende un ottimo nome per una startup. Peccato che il progetto dei due con i militari non avesse niente a che fare. Che dire? Epic fail fin dal principio.
Ma tornando al nome: “shnergle” è sinonimo, per l’esercito britannico, di “ricognizione”. I due founders, con alle spalle un passato nell’Army (orgogliosamente sottolineato in molte occasioni), pensarono, quindi, che questa fosse la parola perfetta per definire la loro nuovissima app. Il suo scopo, infatti, era informare i propri utenti su cosa stava accadendo di interessante in città, ovviamente in tempo reale, permettendo una “ricognizione” virtuale di diversi locali. Se una sera avevi voglia di uscire, ma non sapevi dove andare, Shnergle ti dava una visione d’insieme degli eventi organizzati in quel momento in bar, pub, ristoranti e molto altro.
Indovinate quanto è durata la startup? Un anno. Soltanto un anno, dall’idea iniziale fino alla chiusura. Davvero molto poco. I motivi del fallimento, a parte la scelta del nome, sono tutt’altro che misteriosi: Tregaskes stesso, infatti, ha scritto un lungo, dettagliatissimo post sul blog della startup per spiegarne vita (breve), morte (repentina) e miracoli (inesistenti).
Ecco i problemi da lui riscontrati:
– non fu fatto alcun studio di mercato. Tregaskes ammette, con il senno di poi, di non incarnare il tipico consumatore medio e, quindi, di non essere il più indicato per fare una scelta di prodotto azzeccata. Peccato che l’app venne pensata e testata soltanto da lui e dal suo socio, senza nessun parere esterno;
– fu sbagliato completamente il target di riferimento. Il focus era puntato sugli studenti, mentre fu chiaro dopo poco tempo che gli utenti più interessati erano, invece, i lavoratori tra i 25 e i 40 anni. Il cambio di rotta comportò inevitabilmente dei costi aggiuntivi. Con un’analisi più accurata e sfruttando maggiormente le possibilità offerte oggi dai social network, questo aspetto sarebbe di sicuro emerso molto prima. La ADS di Facebook, ad esempio, sono un ottimo modo per testare il mercato;
– Tragaskes lamenta di come in Inghilterra non sia possibile creare una startup a meno che essa non inizi a generare guadagno dal giorno zero. Gli investitori, dal suo punto di vista, non hanno il coraggio né l’interesse di aiutare finanziariamente società che prevedono monetizzazioni sul lungo periodo;
– in principio i founders chiesero a 3.000 locali di creare contenuti per l’app, ma nessuno – nessuno! – rispose. Senza sapere ancora se ci fosse un pubblico per cui scrivere, i gestori dei locali non vedevano la convenienza di farlo. Allo stesso modo gli utenti non utilizzavano il servizio: per forza, non c’era nulla da vedere! Il classico cane che si morde la coda;
– fu prevista una funzione con cui i contenuti più vecchi di otto giorni non venivano visualizzati. Risultato? Spesso, troppo spesso, non risultava alcuna attività nei locali;
– Tregaskes sottostimò le spese da dedicare al marketing: convinto che entrare nel mercato delle app richiedesse poco investimento, non si curò della pubblicizzazione del prodotto. Ma se il pubblico non conosce il tuo nome, tu non esisti.
Tutti commenti interessanti e condivisibili, insomma. Tregaskes, tuttavia non si ferma qui e sottolinea anche quelli che ritiene i successi, suoi e del collega, nella gestione della startup.
Posso dire che non mi trovo d’accordo su diversi punti? Che, al contrario, alcuni di quelli che lui ritiene “successi” siano stati parte del problema? E che, non essersi reso conto di ciò, potrebbe essere un ostacolo ancora più grande per il suo futuro di imprenditore?
Qualche esempio? I founders erano entusiasti dei loro impiegati. Peccato che nessuno di loro sapesse nulla del mondo delle app. La risposta di Tregaskes? “Don’t worry, I’ve never built a company before so we’re all learning here!”. Un clima da campeggio, più che da azienda.
Un’altra massima in cui crede fortemente Robert è che la ricerca di soldi sia una distrazione da portare a termine il più in fretta possibile. Se da una parte questo è condivisibile – si risparmia tempo per concentrarsi sul progetto vero e proprio – dall’altra il denaro degli investitori è quello che può dare la spinta giusta nel momento della partenza. Cosa che non avrebbe guastato neanche a Shnergle, visto che i fondi iniziali ammontavano a soli 75.000 dollari. Per restare sempre in tema economico, Tregaskes aveva un’altra convinzione: “tutti i soldi spesi per testare un’idea, diventano automaticamente soldi sprecati nel momento in cui quell’idea non funziona.” Davvero illuminante. La sua soluzione? Spendere il meno possibile. Come poteva pensare di far crescere la sua startup, di metterla alla prova, di esplorare il mercato con una concezione simile? Sprecare è sbagliato, ma non investire lo è altrettanto.
Per non parlare di marketing solution: prima di arrivare a un metodo di pubblicizzazione efficace, fondato sui social network, i founders sono passati (orgogliosamente) attraverso diversi tentativi più o meno fallimentari. Il non essersi arresi è di sicuro un punto a loro favore. Non aver studiato prima la campagna pubblicitaria, tuttavia, è stato davvero un errore da principianti.
Ed è proprio questo che non dobbiamo dimenticare. Tregaskes e Bull erano due principianti, anche se il primo si ostina tutt’ora ad affermare “I am an entrepreneur. I have led soldiers in 2 wars”. Tanto di cappello, per carità. Ma il successo sul campo di battaglia, benché esso abbia diverse analogie con il business, non garantisce il trionfo negli affari (anche se le varie analisi di Sun Tzu avrebbero molto da insegnare al riguardo). Forse il nostro imprenditore dovrebbe rivedere con calma i punti del suo post e cercare di riconoscere gli errori travestiti da parziali successi.
Ho sempre sostenuto che l’ottimismo e la fiducia in se stessi sono necessari nella crescita di uno startupper. Ma avere i paraocchi a volte fa sbattere violentemente contro i muri.
Nome startup: Shnergle
Categoria/Tipologia: app che aggrega in tempo reale eventi, concerti e serate di locali e bar
Luogo: Londra (Inghilterra)
Anno di nascita: 2012
Anno di morte: 2013
Finanziamenti ottenuti: 75.000 $
Principali cause del fallimento.
Analisi iniziali: Shnergle venne realizzato secondo le idee e le preferenze dei due fondatori, ma essi non rappresentavano certo l’immagine del consumatore medio del prodotto stesso. La mancanza di un’analisi accurata, inoltre, portò a concentrarsi su un target sbagliato, cosa che comportò diverse spese per tornare a centrare il focus corretto in un secondo momento.
Comunicazione e Marketing: il nome scelto era assolutamente poco intuitivo. Tregaskes, inoltre, sottostimò le spese da dedicare al marketing, ritardando quindi di molto l’effettiva pubblicizzazione e diffusione del prodotto.
Team: senza utenti i commercianti non erano interessati a entrare nel progetto. Ma senza gli aggiornamenti degli eventi nei locali il pubblico non trovava utile il servizio. Un circolo vizioso, insomma. Il team doveva organizzare meglio il lancio del prodotto, prevedendo questo problema. Assumere personale non esperto in materia di app comportò sicuramente ulteriori ritardi. Infine, secondo il CEO, l’evoluzione del progetto doveva comportare meno spese possibili. Un’attenzione allo spreco che, però, poteva diventare facilmente un freno allo sviluppo.