Portachiavi e condom, ovvero anche le storie più assurde hanno molto da insegnare

Condom

Navigando sul web mi sono imbattuto su una storia molto curiosa che, nonostante la sua particolarità, o forse proprio per quella, ha molto da insegnare a tutti gli strartupper.

Dobbiamo tornare alla fine degli anni ‘90, anno in cui lo Stanford Magazine pubblicò l’articolo di un suo ex-studente, Robert L. Strauss, che negli anni Ottanta, in barba al suo MBA in General Management e al MA in International Economics, si è visto nascere e poco dopo morire tra le mani quella che lui considerava l’idea del secolo.

Ecco la vicenda. Mentre lavorava a Bangkok, Strauss si è imbattuto del tutto casualmente in un gadget davvero particolare. Un thailandese, con un gran senso dell’umorismo, aveva recuperato da un magazzino alcuni preservativi in scadenza, li aveva incartati in piccoli sacchetti di plastica e attaccati a dei portachiavi. E non si era fermato qui. L’idea più brillante questo ignoto signore l’ha avuta nel pensare al claim: “in caso di emergenza rompere il vetro”.

Fulminato da questa divertente trovata, Strauss non ci ha pensato un attimo, dando il via ad un auto-finanziamento per produrre su larga scala questi portachiavi. Con questa idea era convinto di sfondare sul mercato, guadagnando in breve tempo cifre astronomiche.

Mai sentito dire no pain, no gain?

Tra scartoffie varie per l’inizio dell’attività, aggiornamenti tecnici del pc per seguire degnamente il business e acquisto delle materie prime, tra cui i preservativi in scadenza, in breve Strauss si è trovato alleggerito di più di 10.000 dollari.

Ma, si sa, l’investimento iniziale è necessario per garantire una partenza con il botto.

Peccato che il botto non ci sia stato. C’è da dire che Strauss si è trovato ad affrontare diverse sfide.

Nell’ordine:

–        prima spedizione dei gadget non riuscita per mancanza di documenti per passare la dogana;

–        prima partita di merce inutilizzabile: a causa della variazione di pressione d’aria durante il volo dalla Thailandia, il lubrificante era uscito dalle confezioni, ungendo tutto;

–        dopo l’immissione sul mercato dei portachiavi i distributori fecero notare a Strauss che gli acquirenti avrebbero preferito avere condom veramente utilizzabili (ma su, Strauss, a questo potevi arrivarci da solo!);

–        dopo aver trovato con enorme fatica un fornitore per i successivi 10.000 preservativi nuovi, un’assicurazione che lo tutelasse, etichette adesive, libretto di istruzioni e tutto ciò che la legge prevedeva per commercio di simili gadget, il nostro eroe si è dovuto sorbire intere ed infruttuose ore per cercare di assemblare il tutto.

E dopo tutta questa fatica? Il povero Strauss ha dovuto alzare bandiera bianca ed arrendersi. Dopo un inizio apparentemente buono nelle vendite, i clienti che sembravano interessati ad ordini ingenti del portachiavi sparirono nel nulla, lasciando soltanto debiti.

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Per quanto buffa possa sembrare questa storia, ha molto da insegnare.

L’unico studio di mercato che Strauss ha condotto prima del “lancio” del suo prodotto è stato chiedere a sua madre che cosa ne pensasse.

Si, avete letto bene. Sua MADRE!
Che non è proprio quello che ci si aspetta da un laureato in materie economiche a Stanford…

Senza contare che, anche se il prodotto in sé poteva a vere una sua attrattiva, doveva essere pensato in modo migliore. Davvero serviva che fossero i negozianti a dire a Strauss che un condom nuovo è preferibile ad uno in scadenza?

Che dire poi della scelta di affidare un intero business, aspettandosi tra l’altro un enorme e immediato guadagno, ad un solo articolo, senza uno studio di mercato più approfondito?

E infine: che guadagni si aspettava di ottenere da un prodotto distribuito ad un prezzo quasi irrisorio? Quali quantità avrebbe dovuto venderne per ottenerne un vero introito? Anche con un ricarico triplo o quadruplo rispetto al prezzo di partenza e considerando i costi da sostenere, avrebbe impiegato anni per recuperare l’investimento iniziale.

Insomma, per dirla con le parole di Strauss, “the only thing I couldn’t stop calculating was exactly how big an idiot I was”.

Diecimila dollari buttati, quindi? No. In realtà la lezione appresa da Strauss è di quelle che nessun libro e nessun professore avrebbe mai potuto insegnargli. Diciamo piuttosto che, visto nell’ottica di un investimento su se stesso, in realtà ha fatto un grande affare per il suo futuro.

Per la cronaca: attualmente Strauss non solo scrive articoli per diverse testate, ma come ci racconta il suo profilo linkedin, “has extensive experience helping distressed international development projects get back on track”. Scommettiamo che questa skill l’ha maturata anche grazie ai suoi “portachiavi”?

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English version of this article here.

6 Comments

  1. Ciao scusa il disturbo, ma mi sono imbattuto per caso su questo sito e vorrei restare aggiornato, però non ho trovato un feed rss per seguire il blog!

    Come faccio a seguirvi senza usare faccialibro/social strani?

    Grazie mille ciao.

    Gabriele

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  2. Interessante, quindi in sostanza si vuole dire che “sbagliando si impara”? :)
    Cmq penso che l’errore di fondo sia al di là ancora: invece che quelli in scadenza avrebbe dovuto usare quelli usati e ricondizionati! Allora sì che avrebbe avuto un enorme margine di guadagno 😉 ;P

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  3. Bella storia! E chissa’ quante ce ne sarebbero da raccontare! Il problema e’ che in Italia, come in molte parti del mondo, il fallimento e’ visto solo come tale e quindi viene tenuto nascosto per “vergogna” quando dovrebbe essere divulgato per insegnare anche ad altri ad evitare errori a volte anche grossolani come in questo caso…IMHO… =)

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