Chi l’ha visto? Il social network Shaker scompare (con i suoi 20m $)

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La storia si potrebbe raccontare nei 308 tweet e 1969 follower   l’ultimo dei quali oltre 13 mesi fa.

AT Shaker, l’app per vivere attraverso il proprio profilo Facebook, all’interno di stanze/zone virtuali, è scomparsa nel nulla.  Chi l’ha vista?

Facciamo un passo indietro nel 2009 e a Tel Aviv, in Israele, dove un gruppo di 10 amici (di cui la metà parenti) crea la società Scene 53 con l’obiettivo di sviluppare un mondo virtuale, una via di mezzo tra SecondLife, The Sims e Turntable.ff.

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Due i mercati princiapli di riferimento.

1 – Consumer: il profilo Facebook degli utenti sarebbe diventato una specie di avatar con la possibilità di incontrare nuove persone in questi mondi virtuali sulla base degli interessi in comune. Come? Beh, in modo “shakerato”. Si potevano incontrare persone con la stessa data di nascita, o che amavano la stessa musica, o che praticavano lo stesso sport o che ascoltavano musica simile. O che abitavano nello stesso quartiere o frequentavano la stessa scuola o università. Non era previsto lo step ulteriore, quello della fisicità / realtà di un successivo incontro.

2 – Corporate: per la vendita alle aziende di spazi virtuali di aggregazione per l’organizzazione di eventi on line, concerti, momenti di condivisione. In effetti in caso di successo dell’app le possibili applicazioni commerciali sarebbero state molte.

Simpatico questo video che spiega il funzionamento e la nascita di Shaker.

Da subito, nel 2010, la società ottiene un finanziamento  da 1 milione di dollari e si sviluppa velocemente.

A marzo 2011 riceve ulteriori 2 M di dollari da Pitango Venture e questo da la spinta ad una continua crescita, che porta gli imprenditori ad essere premiati in tutto il mondo come una delle start up più innovative. Compreso il prestigioso TechCrunch Disrupt, il famoso evento dell’omonimo sito che nomina ogni anno la startup più promettente.

L’app nel 2011 funzionava alla grande e il problema nei primi tempi in realtà era la presenza di troppe persone negli stessi luoghi virtuali per troppo tempo. Il sogno di ogni social!

A ottobre 2011 c’è un ulteriore giro di finanziamento da 15 milioni di dollari e nel gennaio 2012 mette una chip di qualche milione di US$ anche Motorola Ventures. I soldi raccolti nel 2011 avevano  l’obiettivo di fare un ulteriore salto di qualità e di riuscire a scalare il difficilissimo mercato americano.

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Ce la fanno?
Pianificano l’apertura di un ufficio a San Francisco e una forte campagna pubblicitaria di lancio ma… la crescita non è quella sperata e dopo l’interesse iniziale il pubblico non sembra gradire e anzi, soprattutto tra i teens americani, vero target della società, si può dire che non attecchisca affatto.

Cosa succede tra il 2012 e i giorni d’oggi?
Succede che l’ultimo tweet è datato ottobre 2012 e malgrado lo sforzo e gli investimenti fatti ad oggi la sensazione , quando si utilizza l’app (ancora in funzione)) è la stessa di passeggiare in un moderno villaggio abbandonato del Far West.

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Ricapitolo i finanziamenti ricevuti:
– Luglio 2010, Seed, 1 m di dollari di dollari da Zaki Rakib;
– Marzo 2011, Angel, 2m di dollari, da Pitango Venture Capital;
– Ottobre 2011, Series A , 15 m di dollari da Menlo Ventures, Crunch Fund, Innovation Endeavors, ancora Pitango, Troy Carter;
– Gennaio 2012, Series B, Motorola Ventures.

Quali sono le cause di questo fallimento? Perché malgrado le migliori intenzioni non sono riusciti a conquistare il mercato americano?

Credo che in questo caso le motivazioni siano sostanzialmente le seguenti:

–       il mercato dei  social teenager  è veramente molto complesso e ci si scontra, oltre con le evoluzioni di Facebook, anche con sistemi di interazioni più veloci ed immediati (What’s app e similari stanno crescendo moltissimo tra quel target);

–       l’evoluzione tecnologica dell’APP non è stata adeguata malgrado gli investimenti ricevuti;

–       non si sono fatti accompagnare da professionisti con un forte know how del mercato americano, che i fondatori non  conoscevano a fondo;

–       tra i 10 fondatori, 6 sono parenti: lack of professionalism a mio avviso molto forte.

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Versione inglese dell’articolo – English version of this article

5 Comments

  1. Complimenti ad Andrea, creatore di questo blog, che ha messo in campo un’idea diversa e molto utile. Spero che sia l’inizio di un percorso che porti l’Italia a considerare il fallimento come un valore, non come un marchio a fuoco per il resto della vita.

    Penso a quante persone potrebbero beneficiare dell’esperienza negativa e trovare soluzioni brillanti evitando “trappole” comuni. Già iniziare a parlarne è un punto di partenza importante.

    Ad ogni modo leggendo questo articolo e quello precedente su “Second Life” del 3 Ottobre scorso mi sono tornati alla mente tanti spunti che ho citato nella mia tesi di laurea, nella quale mi sono occupato di social media marketing e nuove tecnologie.

    Anche io sono d’accordo sui punti essenziali:

    .l’incapacità da parte di questi sistemi di cogliere nuove sfide dopo l’ingresso sul mercato di Facebook e l’esplosione dei vari social network
    .ambienti virtuali troppo disconnessi dalla realtà, il che fa molto “gaming” ma poco “social”
    .scarsa integrazione con i social esistenti (se non li puoi combattere, allora alleati)
    .problemi di inserimento sui sistemi mobile (tecnologie, diffusione, durata della batteria :D)

    Così molto spesso dietro questi progetti si crea una “bolla” pronta prima o dopo ad esplodere. Mi chiedo cosa spinga alcuni ad investire le cifre da te menzionate in modo così impulsivo! 15 mln di dollari non è fare impresa ad alto rischio, mi sembra piuttosto un rischio spericolato (forse un mezzo suicidio).

    La possibile soluzione potrebbe essere quella di implementare un sistema alternativo più “integrato” che può essere inserito nelle fan page di Facebook attraverso una piattaforma 3D ad elevato coinvolgimento che fornisca strumenti di comunicazione in tempo reale: penso a liberi professionisti, a chi cerca un lavoro, a chi ha bisogno di traduzioni simultanee che non siano quelle “bacate” del traduttore di Google :) e anche alla comunità di piccoli imprenditori sul territorio che organizzano eventi ed aggregazione. Il tutto immerso in un’architettura geo-localizzata (o GLOCALizzata?) che mappa il nostro mondo e ci fa rimanere inchiodati, per così dire, alla realtà, che parta dalla piccola comunità sociale e si possa espandere nel mondo, facendo fronte alle sfide della globalizzazione…

    io sto provando anche a farlo (e scopro sulla mia pelle che discutere è molto, molto più facile) con l’obiettivo di realizzare un prototipo semplice e vedere se l’idea possa funzionare

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  2. Come Fondazione Ultramundum siamo da anni a sviluppare proprio il tipo di prodotto delineato nel commento precedente.
    Se la qualità dei mondi virtuali resta quella a ‘cartone animato’ di Second Life o, peggio ancora, quella a ‘icone animate’ di Shaker, allora non stupisce che alla fine i prodotti non decollino.
    Fino a quando non avremo la tecnologia di Matrix non ci sarà alcuna possibilità di reale successo di massa per vere ‘vite parallele digitali’.
    C’è un intero libro al riguardo, che delinea cosa ci vorrà e persino come si potrebbe ottenerlo:
    http://www.ultramundum.org/italia/book/index.htm

    Noi abbiamo anche creato la prima e la più grande Mesaggeria pubblica d’Italia negli anni ’90: Hypernet.
    Con questo servizio, erogato da nostri PC direttamente nei locali pubblici, abbiamo sperimentato negli anni ’90 in anterprima cosa funziona e cosa no nei sistemi di chat avanzati reali. Shaker è molto bello, ma ha i problemi classici di questi sistemi, del tutto irrisolti nonostane la pioggia di milioni. Non stupisce che oggi sia deserto.

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  3. Da veterano (lavoro su internet dal 97), potrei paragonare Second Life al periodo della new economy.
    Il suo successo è stato determinato dall’euforia della sua popolazione “virtuale” e dalla grande pubblicità gratuita grazie agli scoop dei media tradizionali.
    La bolla Second Life è scoppiata da tempo, oggi internet non ha bisogno di strumenti virtuali, ambienti virtuali ed oggetti virtuali, la parola “virtuale” è di fatto obsoleta.

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    • Sono pienamente d’accordo su Second Life (ormai penso tutti), meno sulla seconda parte del commento.
      Il vecchio modo di concepire il virtuale è sicuramente obsoleto, ma ciò non toglie che non si possa pensare in futuro ad una mappatura “virtuale” della realtà. Negli Stati Uniti stanno investendo molto sull’idea, infatti esistono 4-5 aziende che operano nello stesso segmento da me descritto nel primo commento, tra cui Hover3D, UpNext ed EveryScape, per un ammontare di finanziamenti di 17.5 mln, 6 mln e 500k dollari (incredibile ed eccessivo, ma è così) ed una che si muove proprio nella stessa direzione da me prospettata e si chiama you be Q, una startup portoghese che ha ricevuto finanziamenti milionari da Google (e comunque le potenzialità delle WebGL e del Web 3D non mi sembrano mica da buttare). Prima di arrivare al tanto pubblicizzato “Internet of Things”, che è sicuramente il futuro, c’è ancora un pò di stradina da fare, e non ci si può arrivare in un unico saltello, secondo la mia opinione. Ciao a tutti :)

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