Già, Nouncer ci racconta proprio questo: la storia di una start up in cui di certo non mancavano le idee, ma la voglia di provarci veramente.
Tutto nasce nel 2006, quando Eran Hammer decide di iniziare a lavorare su un servizio web di microblogging che sarebbe dovuto diventare un social network. L’idea era partita in modo curioso: l’azienda per cui lavorava Hammer aveva spostato il suo team da uno stabile in cui ogni dipendente aveva il suo ufficio, a uno in cui c’era un unico open space. Ciò, spiega il fondatore di Nouncer, aveva comportato un considerevole aumento di malumori tanto che “si producevano più pettegolezzi che codici C++”.
L’essere in open space, però, poco si conciliava con questo consistente vociferare. Da qui l’illuminazione: perché non creare un servizio di messaggistica istantanea per spettegolare senza la paura di essere sentiti da qualche orecchio indiscreto? Questa idea “da ufficio” sarebbe poi potuta trasformarsi in qualcosa di più elaborato, diventando un servizio di microblogging, una rete di utenti che potessero tenersi aggiornati sulle news dal mondo e scambiarsi mail o sms tramite messaggi privati.
Vi ricorda niente tutto ciò?
Ma certo che sì! Perché Hammer stava pensando ad un social network simile a Twitter. Va detto, però, che nel momento in cui Hammer iniziava ad elaborare il suo progetto, Twitter non era ancora attivo. Il lancio di quest’ultimo, infatti, risale al luglio del 2006, pochi mesi dopo che Eran aveva cominciato a lavorare al suo progetto.
Un problema di tempistiche, quindi. Perché se è vero che l’esplosione di Twitter da un lato aiutava a spiegare l’idea di ciò che Hammer voleva realizzare (perché i potenziali utenti erano già abituati ad usare un servizio simile), dall’altro ciò comportava che il prodotto non sarebbe più stato una novità sul mercato. Avrebbe dovuto, anzi, competere con altri che, nel frattempo, stavano crescendo.
Hammer decise così di riadattare il suo progetto iniziale, spostando il focus del suo lavoro da un’applicazione destinata ad un utente finale a un social che potesse essere utilizzato dalle aziende per migliorare la comunicazione interna e con i clienti.
Lavorando su questa idea, poi, Hammer decise di modificare nuovamente il suo progetto: non creare più il prodotto finale, ovvero un sito fisicamente navigabile, ma un insieme di API che consentissero interazioni tra software. Un contenuto creato da un programma poteva, insomma, essere condiviso e aggiornato da un altro, come facciamo ad esempio quando postiamo una foto con Instagram e la condividiamo poi con Twitter, Facebook, Flickr e così via.
In definitiva, se c’è una cosa che non mancava a questa start up erano proprio le idee. Ma allora, perché nel 2008 Hammer ha deciso di “staccare la spina” quando il progetto era ancora in fase alfa?
Non era un problema di soldi, almeno non per la fase in cui tutto si è interrotto. Hammer, infatti era riuscito ad ottenere una buona somma da alcuni suoi famigliari.
Si stava, invece, presentando un problema di team: “Non potevo andare avanti da solo”, spiega. “Dopo qualche mese dall’inizio della progetto Nouncer ho chiesto a due amici di collaborare. Abbiamo iniziato a lavorare insieme, ma tutti e tre avevamo già un lavoro a tempo pieno e questo significava dover lavorare al progetto in altri momenti. Ma se a me questo non pesava perché ero pienamente coinvolto in tutto ciò, per i miei amici non era così e dopo averne parlato abbiamo deciso di interrompere la nostra collaborazione”.
Hammer proseguì, quindi, da solo, cercando di coinvolgere nuove persone nel suo progetto. Proposito che si rivelò più difficile del previsto: “Avrei dovuto rendere la mia start up più attraente per convincere altri ad unirsi. Ho provato a sottoporre a persone che conosco e rispetto un what-if scenario, chiedendo loro se avrebbero partecipato al mio progetto nell’ipotesi che fossi riuscito a raccogliere un milione di dollari in fondi. Ho ricevuto un grande numero di no per tante e diverse ragioni. C’erano un sacco di buoni motivi per cui chi è stato interpellato non avrebbe mollato il lavoro sicuro e ben pagato che stava facendo”.
Ricevere tutti questi no, quindi, è stata la causa scatenate per staccare la spina a Nouncer?
Sembra proprio di sì per come la racconta Hammer: “Non avevo un partner che bilanciasse le mie idee e contribuisse a prendere le decisioni, magari facendomi notare eventuali errori sia a livello di progetto che di business. Insomma, ho fallito nel costruire un team”.
Così Hammer, nonostante avesse ancora dei fondi e un paio di buoni curriculum su cui contare, ha deciso di staccare la spina, chiosando con una massima che sa tanto di scusa. E anche banale, tra l’altro: “Va bene così. Molte start up falliscono, è un dato di fatto. Ma anche se Nouncer ha fallito nel realizzare un prodotto e mi ha fatto perdere dei soldi, è stato una bellissima avventura”.
Ora, Hammer ha ragione quando dice che il fallimento di molte start up è un dato di fatto e chi segue questo blog ormai ha avuto svariati esempi.
Ma nell’avventura di Nouncer sembra che più di tutto sia mancata la voglia di impegnarsi veramente in un progetto, di lanciarsi in un’avventura costellata da incertezze.
Pensiamoci un attimo: c’erano tante idee, magari confuse, ma potenzialmente buone e con tante opzioni per riadattare il prodotto che si stava sviluppando.
C’erano ancora soldi per poter continuare il lavoro e c’erano dei potenziali collaboratori. Hammer può raccontarci la storia del “va bene così, è stata la scelta giusta” fin che vuole, ma qui è mancato il coraggio di andare avanti e di credere in quello che si stava facendo.
Insomma, come ci aveva mostrato anche l’esempio di YouCastr, senza la passione non si va da nessuna parte!