Leggo e sento spesso persone lamentarsi sulla difficoltà di fare impresa in Italia. Per non parlare di fare impresa “digitale”. Ma è tutto rosa e fiori all’estero? L’ America è il vero Eldorado? Da noi è così difficile?
Parto da una considerazione: un bravo imprenditore fa funzionare la sua impresa d’appertutto. Forse con risultati diversi. Ma la fa funzionare d’appertutto.
Certo, gli imprenditori italiani che più ammiro sono quelli che sono riusciti a fare impresa anche all’estero, replicando e adattando il modello di business (e quindi ad esempio magari senza la “garanzia” di appoggi locali). Qualche nome?
Beh, Marchetti e Yoox ad esempio. Un geniale imprenditore che da subito ha fatto scuola sul web ed oggi fattura la quota principale del suo fatturato lontano dal nostro bel paese. Ma gli esempi per fortuna sono molti… Luxottica, Ferrero, Pininfarina… il Made in Italy che tanto ci rende orgogliosi. Aziende più famose ma sopratutto meno famose che guidate da imprenditori illuminati riescono ad imporsi in mercati lontani e diversi.
Faccio una considerazione personale e la sottolineo: si, credo fortemente che in Italia sia più difficile fare impresa rispetto ad altri paesi del mondo.
Mille e mille leggi, burocratizzazione per l’avvio, tasse assurde, sistema fiscale iniquio e scorretto, sistema bancario che non vuole (e può) capire il tema start up. Clientelismo. Invidie.
Un asetto culturale profondo che è storicamente contro l’imprenditore. In Italia un imprenditore FALLISCE, perdendo anche i diritti civili. Negli Usa, ad esempio, quando un’azienda va male si parla di “bankrupt”, che volento tradurlo in modo schietto: è semplicemente un problema che sono finiti i soldi.
Ma questa distinzione tra FAILURE (fallimento) e BANKRUPT nasconde appunto una profonda distinzione culturale.
In Italia, un giovane che vuole fare impresa deve infatti prima di tutto superare le difficoltà dei commenti delle persone a lui più vicine. La propria madre in primis, che vede nel posto fisso la chimera contro tutti i mali.
Ma l’esistenza di questi e molti altri ostcali (si potrebbe parlare per ore) non significa che non ci si può e ci si debba provare, anzi.
Un’ulteriore considerazione: credo sia anche fortemente sbagliato fare un’azienda solo perché non si ha un lavoro. Non credo che se non hai nulla da pardere tanto vale provarci a fare l’imprenditore. Deve essere più una vocazione, allenata con un processo formativo ed altre esperienze professionali precedenti (parlo come regola generale, non come eccezioni).
Hai pochi soldi per fare impresa? Non è un vero problema. Al giorno d’oggi, nell’economia digitale, può servire molto poco per partire. E allora perché non partono centinaia di imprese tecnologiche bootstrappate? Giovani e meno giovani che dopo aver studiato o lavorato per 8 ore, vanno a case e si collegano al PC per sviluppare la loro idea?
Il mio punto di vista? Penso sia un problema di mentalità (riallacciata al tema culturale espresso poco fa).
Un grande ed enorme limite.
C’è paura di rischiare. Anche se c’è ben poco da perdere. Anche se si ha 20-25 anni e non si ha una famiglia da mantenere. Moltissimi ragazzi con aspirazioni da imprenditori hanno lasciato temporaneamente il loro Paese per andare in Cile a formare una startup, con l’aiuto di $40,000 a fondo perduto. Gli americani, nonostante tutti i fondi disponibili localmente, ci si sono buttati a capofitto. Gli italiani, che ne avrebbero avuto bisogno come il pane, si contano invece sulle dita delle mani.
C’è paura del fallimento. Se in America fallisci… vuol dire che alla prossima avventura imprenditoriale farai meglio e imparerai dagli errori. In Italia, si è marchiati a vita!
La laurea è vista come punto di arrivo (e non di partenza). Il posto fisso non esiste più. Ormai lo sanno anche i bambini.
Tanto è così, se non sei figlio di X non puoi fare niente. E’ una delle scuse più classiche che si sentono dire. O peggio… molti pensano che io abbia fatto Wish Days solo grazie ad aiuti esterni e grazie a santi in paradiso. L’invidia… e il tema culturale di cui si parlava prima.
E’ incredibile che nella profilerazione di corsi di laurea di ogni tipo non ci siano esami su come diventare imprenditori. Ci avete fatto caso?
I corsi di laurea per fare gli imprenditori esistono e si chiamano Master in Business Administration!!!
😀
Comunque, la gran parte dei concetti espressi è corretta, perlomeno, io concordo con quasi tutto.
Piuttosto, mi chiederei perché non insegnano BENE a usare il computer alle medie e alle superiori! Corsi di programmazione, corsi di utilizzo dei pacchetti Office, ecc ecc… Saremmo MOOOOOLTO più competitivi come Paese…
ciao Luca, grazie del commento. Sono d’accordo su alcune cose e meno su altre.
GLi MBA non sono corsi che creano imprenditori, tutt’altro. Sono master che preparano fondamentalmente alle società di consulenza direzionale, al banking di un certo tipo, a multinazinali strutturate etc.
DI imprenditori con MBA alle spalle ne ho conosciuti pochissimi, forse nessuno.
Sul tema del computer alle medie (ed elementari) oltre alle superiori sono al 110% d’accordo con te. Siamo arretrati, siamo indietro. Il rischio del sistema scuola in Italia è reale e la tua osservazione è veramente molto condivisibile.
Grazie intanto, ciao!
Ti leggo con piacere ma certi orrori non si
Possono vedere! Fatti rileggere il pezzo da qualcuno prima di pubblicare! È un
Peccato perché sono interessanti le storie che riporti. Vito
Dimentichi che in Italia l’accesso a K è uno scoglio quasi insormontabile.
Ciao Vince, cosa intendi per accesso a K… K di capitale? Se è quello che intendi, in Italia a mio avviso è molto più facile ottenere capitale per startup in questa fase storica rispetto anche agli USA, dove la concorrenza per capitali sicuramente più “numerosi” e presenti è molto molto di forte e il livello qualitativo medio degli startupper è più alto (mediamente). Ma ovviamente è solo una mia modesta opinione!
Ti ringrazio per il tuo commento. ciao
A mio modo di vedere in Italia è oggi più semplice raccogliere capitali per imprese già avviate piuttosto che per start-up, in quanto penso che manchi la cultura dell’impresa nuova e innovativa fondata da ragazzi giovani. Penso che le cose si stiano muovendo, ma siamo ancora lontani dai livelli degli USA, dove è vero che c’è più concorrenza ma anche un maggior numero di venture capitals e fondi incentrati sul seed funding. Di recente mi sono trovato ad analizzare uno studio a riguardo dei più grandi fondi di Private Equity Italiani, dove è stato constatato che solo una piccola percentuale di finanziamenti è diretta verso il l’apporto di capitale iniziale, e dunque quello che serve alle start up.
Grazie per il tuo (rapido) commento.
Dimenticavo, complimenti per il blog, davvero molto interessante!
ciao, si, sono d’accordo. QUello che ho espresso, male, nel mio commeneto precedente che la “moda” delle startup facilita in questa fase trovare chi è disposto ad investire… sembra che se non investi in una startup non sei nessuno… comunque condivido il tuo pensiero
grazie a te che riesci a seguirmi! ciao