“Eventvue è fallita perché rappresentava una vitamina e non un antidolorifico”
È con questa metafora che Josh Fraser, uno dei fondatori di Eventvue, descrive il fallimento della sua start up, nata nel maggio del 2007 e morta nel febbraio 2010. Il progetto era ambizioso: creare un social network stile Facebook, riservato solamente al mondo delle conferenze.
Ma posso dire che il problema di questa startup è un altro. Andiamo con ordine.
Sono stati principalmente due gli step seguiti da Fraser e dal suo socio, Rob Johnson, durante la loro avventura.
In una prima fase fu realizzato un widget che doveva servire a “far conoscere” on line i partecipanti prima della conferenza, farli interagire durante il suo svolgimento e permettere loro di potersi tenere in contatto anche dopo.
Nella seconda fase, invece, l’attenzione è passata all’implementazione di una delle funzionalità più apprezzate di Eventvue, che permetteva di commentare in tempo reale le conferenze. Una specie di live chat o di Twitter per scambiare opinioni e commenti che, come notarono in Eventvue durante lo svolgimento di alcuni eventi, era l’elemento più apprezzato di questo social.
Eccolo qui, quindi, il motivo principale del fallimento di Eventvue.
Chi organizza un evento, in questo caso una conferenza, è interessato principalmente ad avere il maggior numero possibile di partecipanti per aumentare i suoi guadagni grazie alla vendita di biglietti e, solo in un secondo momento, potrebbe interessarsi a come migliorare qualitativamente il suo evento. Questo social network, invece, andava ad intervenire molto bene sul secondo aspetto, ma troppo marginalmente sul primo. In poche parole non era indispensabile né remunerativo, per un organizzatore, pagare per poter usufruire di questo servizio.
Josh Fraser , infatti, spiega: “Agli organizzatori di conferenze piaceva il nostro prodotto ma non ne avevano bisogno. Non abbiamo fatto diventare il loro lavoro più facile e non li abbiamo fatti guadagnare: insomma eravamo solo qualcosa di “carino”, ma non utile”. Mancava quindi un trait d’union tra idea-progetto-mercato di riferimento.
Studi più approfonditi e indagini di mercato avrebbero permesso a Fraser e Johnson di capire meglio il settore in cui si stavano inserendo e, probabilmente, di evitare gli errori di valutazione o, per lo meno, di porvi rimedio prima che fosse troppo tardi: “Abbiamo semplicemente finito i soldi prima di riuscire a creare un prodotto che gli organizzatori di conferenze avrebbero pagato abbastanza da consentirci di continuare con la nostra attività” ha ammesso Fraser, aggiungendo poi: “Abbiamo puntato troppo in altro e abbiamo avuto fretta di iniziare anche se il nostro prodotto era troppo debole”.
Osservazioni giuste, ma surreali se si pensa che escono dalla bocca di uno dei due fondatori di questa start up. Idee senza pianificazione, voglia di lanciarsi nel mercato senza studiarne le esigenze specifiche: un progetto che sapeva quasi da dilettanti allo sbaraglio, insomma.
Cosa ci insegna la storia di Eventvue? Dimostra che, se ancora servisse ripeterlo, non si deve avere la presunzione di entrare nel mondo degli affari senza solide basi. Iniziare una start up, come avevo già avuto modo di spiegare in un mio precedente articolo, non è un gioco da ragazzi.
L’entusiasmo, la creatività, la ricerca di idee innovative sono tutti elementi indispensabili per far nascere un nuovo progetto, ma non va mai tralasciata la parte di studio e preparazione.
È necessario capire l’utilità e la bontà della propria idea per trovare chi può supportarla finanziariamente. Magari semplicemente iniziando con il chiedersi: “Io o i miei conoscenti pagheremmo per avere questo prodotto o servizio?”.
L’ennesimo social network creato senza pianificazione. That’s it.
Interssante!
Oltre al fatto che mezzo milione di dollari di investimenti non sono bruscolini… trovarli!! Ma qualcosa non mi torna: se erano frutto di dei loro risparmi è assurdo li abbiano spesi così alla buona; se era frutto di investimenti… beh, ci sarà stato qualche piano di investimento? O qualche folle ha dato loro in mano un patrimonio da sperperare?
Ok, tutti possono fallire. Qualcuno in un convegno che ho seguito ha detto “è normale che le aziende chiudano” aggiungendo “per fortuna che chiudono, anzi!”. E sono d’accordo. E’ un ciclo naturale e delle volte necessario.
Ma in questo caso si dovrebbe capire meglio quali modelli di business nello specifico volessero seguire… che tipo di entrate prevedevano e quali sono stati gli intoppi…
Perché torno a ripetere che non è possibile che mezzo milione di dollari venga bruciato in questa maniera e con tanta apparente leggerezza.
Forse erano semplicemente incapaci…
Ma ho sempre più paura a partire con la mia idea
Ma sono d’accordo ma solo in parte, nel senso che spesso anche in USA e non solo in Italia i soldi vengono “regalati” sulla base di rapporti ed entusiasmo. Posso dire che dalla mia esperienza sono molto poche le persone che fanno una chiara analisi di mercato PRIMA di capire, sia su PC sia andando di persona a chiedere/informarsi/fare comparazioni/etc etc.
Ci sono casi ben più gravi di società che hanno bruciato somme ben più alte…. Grazie per seguirmi, mi fa piacere
grazie e ciao
andrea
Grazie a te.
E’ sempre molto costruttivo confrontarsi 😉
E complimenti per gli articoli. Se mai approfitterò della tua esperienza un giorno per sottoporti le mie idee
Grazie e ciao.
Edo
Concordo con edoluz per quanto riguarda entrambe le considerazioni, ovvero nel chiedermi quale sia stata effettivamente la loro idea di business, cosi come chi abbia messo a disposizione il grano.
Ma aggiungerei anche che forse sarebbe interessante capire un po piu a fondo cosa si intende per studi di settore, in cosa consistano all’atto pratico e quali decisioni in particolare questi possano influenzare.
L’ideale sarebbe una sorta di comparazione tra due reali storie di business / start-up, una dove tali studi non sono stati fatti, mentre l’altra a rappresentare il caso ideale dove ogni step e’ stato rispettato. A valle di questo, quindi, mettere in luce quali vantaggi hanno portato con se tali studi di settore e quali decisioni hanno determinato, decisioni che magari prese solamente sulla base dell’intuito sarebbero state diverse, forse fallimentari.
Grazie per i vostri commenti. Il tema in oggetto mi sembra sia anche cosa significhi analizzare un settore. Bene, non invento niente ma esistono delle metodologie molto chiare al riguardo. Quando lavoravo in alcune multinazionali della consulenza direzionale si usavano metodologie di derivazione “porteriana” ossia di M. Porter. E’ assolutamente importante farla, ancor più nel mondo digitale perché comuqneu da queste regole non si scappa http://it.wikipedia.org/wiki/Modello_delle_cinque_forze_competitive_di_Porter
Ciao e grazie
andrea
No, grazie a te per gli articoli e per gli ottimi spunti.
Saluti.