Aprite la posta elettronica. Tanto spam, qualche newsletter più o meno interessante, un messaggio o due di amici e colleghi. E poi la sorpresa. Un’e-mail inaspettata e quantomeno strana: un vostro contatto di Facebook vi chiede, tramite un servizio di e-commerce, di potervi inviare un regalo.
Facciamo ordine: una persona abbastanza vicina a voi da essere tra i vostri “amici” in un social network, ma non quanto basta da avere il vostro indirizzo di casa, vuole mandarvi un presente. Suona strano soltanto a me? Eppure questa è l’idea di base su cui si fondava Tigerbow, una startup newyorkese fondata nel 2007 da David Levy e Carter Page.
Il funzionamento era piuttosto semplice. Volevi fare un regalo ad una persona di cui avevi solo il riferimento Facebook, l’email o il contatto su Twitter? Niente di più facile: bastava scegliere un oggetto dal sito di Tigerbow e immettere il contatto del destinatario. Veniva quindi mandata una mail all’indirizzo indicato con la quale veniva “notificato” al ricevente che una certa persona “X” voleva fargli un regalo. Se il destinatario accettava il dono, doveva solo immettere il proprio indirizzo fisico, altrimenti poteva declinare l’offerta. Nel primo caso il mittente avrebbe potuto procedere a pagare l’oggetto in questione, altrimenti il tutto si risolveva in un nulla di fatto. I vantaggi? Di sicuro l’effetto-sorpresa era assicurato. L’indirizzo del destinatario, inoltre, rimaneva segreto, preservando così la sua privacy. E ci mancherebbe. Già è inquietante che un mio semi-conoscente quasi-amico voglia farmi un regalo, se poi avesse anche il mio indirizzo non dormirei sonni tranquilli. Al di là dell’ironia, la startup avrebbe potuto funzionare: inviando regali con il metodo di Tigerbow, il mittente non avrebbe dovuto sprecare tempo a compilare form con indirizzi vari, rendendo il regalo molto più immediato e, come dire, moderno.
L’idea originaria era nata per interagire con il sito Second Life: invece di fare omaggi virtuali ad un avatar, conoscendo anche soltanto il nickname della persona reale dietro ad esso, si potevano inviare fiori, libri o altro. Inizialmente, tuttavia, Tigerbow non aveva un proprio portale e doveva fare i conti con commercianti reticenti che non volevano utilizzare questo sistema per vendere i propri prodotti. Il passo successivo, quindi, fu sviluppare un online gift store, in modo da poter offrire il servizio anche fuori da Second Life ed allargare il proprio bacino di utenza ai contatti e-mail, Facebook e altro. L’esperimento non andò comunque a buon fine e Tigerbow fu costretto a chiudere la proprie attività, nonostante gli sforzi dei suoi amministratori.
Con grande prova di maturità, lo stesso Levy, qualche anno dopo il fallimento, raccontò in un articolo on line i pro e i contro – che sono la parte per noi più interessante – della sua avventura, permettendoci così di capire un po’ meglio quello che era realmente successo.
I limiti oggettivi della piattaforma erano il catalogo regali non abbastanza fornito, i prezzi un po’ troppo alti per alcuni articoli e la scelta poco creativa del genere di doni: fiori, cibo e libri sono omaggi sicuramente gettonati ma, proprio per questo, molto scontati. Forse con una maggiore fantasia nelle offerte sarebbe aumentato il giro di clienti, che avrebbero così avuto a disposizione non un banale negozio virtuale, ma un luogo dove trovare un’idea originale, per fare un omaggio fuori dal comune, giustificando, in tal modo, l’eventuale prezzo un po’ più alto.
Un altro considerevole deficit di Tigerbow era rappresentato dal suo team, non per la carenza di professionalità, ma per la mancanza di tempo. I founder, infatti, lavoravano al progetto part-time e gli sviluppatori non era assunti full time, ma come collaboratori esterni. Le fasi iniziali sono quelle più difficili, le più delicate, quelle insomma che richiedono più sforzo e attenzione. Dedicarci solo poche ore della propria giornata è il modo più sicuro per assicurare una fine repentina alla propria creatura. In parte questo è uno dei motivi per cui Levy fa un giustissimo mea culpa anche per quel che riguarda la mancata evoluzione di Tigerbow. Come avrebbe potuto realizzare un business model vincente, attraendo clienti e finanziatori, quando il suo stesso investimento in termini di tempo era insufficiente?
L’ultimo fattore che ha influito negativamente è stato il periodo storico in cui la startup è stata lanciata; per due diversi motivi. Innanzitutto, gli anni 2007/2008 non sono stati dei più felici, finanziariamente parlando. Una grossa crisi stava attraversando gli Stati Uniti, cosa che di sicuro non ha aiutato gli affari.
In secondo luogo l’idea è nata prima che il mercato fosse realmente pronto. Per fare un semplice esempio, nel 2012, quando la startup di Levy era già morta, Facebook ha acquisito Karma, una società con un progetto molto, molto simile a Tigerbow. Come dice giustamente il suo founder, “Troppo presto non va bene. Si deve trovare il giusto tempo, un buon prodotto e realizzarlo bene”. Una startup che offriva un servizio interessante ma non necessario, nata nei ritagli di tempo libero del suo staff, lanciata in un periodo per molti versi sbagliato, ma soprattutto con prodotti poco innovativi che difficilmente avrebbero fatto gola a clienti abituali di colossi come, ad esempio, Amazon. Diciamo che il progetto di Tigerbow era un po’ traballante fin dal principio. È bastata una piccola spintarella, probabilmente le prime difficoltà finanziarie, per far cadere definitivamente questo sito di e-commerce dedicato in principio, lasciatemelo dire, a chi aveva un’anima da stalker.
Da una parte abbiamo perso un modo semplice e immediato per inviare regali senza preoccuparci di cercare, di volta in volta, gli indirizzi dei destinatari. Dall’altra sono un po’ più sereno al pensiero che là fuori non ci siano sconosciuti alla ricerca del mio recapito di casa: se io per primo non ho voluto lasciarlo alla persona “x”, un motivo ci sarà.
Nome startup: Tigerbow
Categoria/Tipologia: e-commerce con cui inviare regali fisici ad indirizzi virtuali
Luogo: New York (Stati Uniti)
Anno di nascita: 2007
Anno di morte: 2012
Principali cause del fallimento
Team: nessun membro del team, compresi i fondatori, lavorava al progetto Tigerbow a tempo pieno. Anche a causa di ciò fu impossibile far evolvere la startup in ottica di miglioramento continuo.
Luogo/tempo: il lancio di Tiger è avvenuto in piena crisi economica. Il mercato, inoltre, non era ancora pronto a questo tipo di servizio.
Modello di business: l’idea iniziale era buona, ma i prodotti messi a disposizione erano pochi, venduti ad un prezzo abbastanza alto e non particolarmente fantasiosi. Questo era un grave deficit, in quanto il cliente trovava poca convenienza ad acquistare un regalo con un così basso range di scelta. Soprattutto se confrontato a quello di altri giganti del settore e-commerce, come Amazon.
Andrea, le faccio i complimenti per la chiarezza e la sintesi. Nel suo articolo, con poche parole riesce a catturare l’attenzione, arrivare al punto e spiegare il “why”! Di nuovo: complimenti.
Ora leggerò altri suoi articoli.
Grazie Dario, troppo gentile
Mi associo ai complimenti: sto leggendo gli articoli uno dietro l’altro come fossero capitoli di un libro giallo !
Mi fate arrossire….