Wodache, una carpooling startup a Beijing

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In un periodo dove i fenomeni di car pooling come Blablacar sono sempre più sulla cresta dell’onda, interessante l’esperienza in Cina di tre giovani americani.

Traffico congestionato, inquinamento dei gas di scarico e prezzi del carburante alle stelle. Tre giovani imprenditori hanno provato a trasformare gli incubi peggiori degli abitanti di Beijing in una grande opportunità. Eric Wang, James Hu e Jeff Hsu, infatti, nel 2011, hanno deciso di spostarsi dagli Stati Uniti per andare in Cina e dar vita ad un progetto chiamato Wodache: una piattaforma di carpooling che avrebbe dovuto facilitare la vita ai cittadini della capitale orientale.

L’idea era venuta ad Eric mentre era in vacanza in Grecia nel 2010. Qui, tra mare e spiaggia, lo startupper specializzato in investimenti bancari aveva sentito la notizia di una congestione stradale che partiva dalla Mongolia per arrivare fino a Beijing. “Cose da pazzi”. Eric decise di porvi rimedio con l’aiuto di James, amico di vecchia data che lavorava per la Microsfot, e di Jeff, già dipendente Apple.

Per alcuni mesi avevano ragionato sulla loro idea, Eric dal punto di vista economico, James e Jeff dal punto di vista tecnico e tecnologico. Poco dopo comprarono un biglietto di sola andata per la Cina e atterrarono a Beijing. La città cinese era l’ideale per loro, prima di tutto per il traffico, il peggiore del mondo, e poi perché era considerata il corrispettivo orientale della Silicon Valley. Lì, senza soldi, conoscenze ed esperienza nel settore, erano riusciti comunque a trovare finanziamenti e ad inserirsi in un ambiente pieno di nuove startup.

Nel loro modesto ufficio con tanto di stereo con i Coldplay, canestro e bersaglio per le freccette, i tre startupper crearono Wodache destreggiandosi tra competitors agguerriti e una burocrazia tutt’altro che snella. Wodache, che letteralmente significa “trovare un passaggio” era un sito sul quale l’utente poteva loggarsi per cercare un “carpool ride”. Una mappa con dei puntatori segnalava ogni auto disponibile. Volendo, inoltre, si potevano anche ottenere notizie sui guidatori: da dove partivano, dove andavano, tempi e date del viaggio, particolari personali e contatti, tutto per garantire maggior sicurezza agli user. Il servizio era gratuito “Per noi, soprattutto in questo momento” affermavano i tre “è più importante risolvere i problemi dei clienti. Quando si sarà creata una grande community penseremo a come guadagnare. Anche Facebook è gratuito per gli utenti”.

I vantaggi per gli abitanti di Beijing erano tanti: si risparmiavano soldi, si evitavano ingorghi e si diminuiva l’inquinamento. Per quale motivo, dunque, Wodache è fallita nel 2013?

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I primi problemi con i quali si scontrarono i tre imprenditori furono relativi alla cultura cinese. Il concetto di carpooling, infatti, a Beijing non sapevano nemmeno cosa voleva dire. Eric e soci avrebbero, quindi, dovuto non solo dar vita al loro progetto, ma anche educare il mercato e far capire loro i vantaggi che Wodache avrebbe portato. Eric, Jeff e James, tra l’altro, erano sì cinesi, ma nati e cresciuti negli Stati Uniti. Per questo si erano visti costretti a dedicare meno tempo del previsto alla startup per riuscire a comprendere appieno le differenze culturali e il comportamento dei consumatori in un paese diverso.

Si deve tenere, inoltre, presente che il carpooling è un modello di condivisione basato su un concetto sofisticato e di difficile realizzazione: luoghi, tempi, fiducia, modelli di ricavo… serve estrema precisione e, in ogni caso, non sempre è possibile garantire i passaggi.

A tutto questo si aggiungono l’ingenuità iniziale dei tre creatori di Wodache “Volevamo una social enterprise che facesse bene al mondo, diminuendo traffico ed inquinamento”. Idea davvero ottima, peccato che, per realizzarla, sia stato sacrificato il lato remunerativo del progetto, non pensando a come ricavarne un guadagno immediato. Tra l’altro in quegli stessi anni nella capitale cinese stavano prendendo vita le prime taxi-booking startup, come Beijing Taxi-Book. Opportunità che avrebbe portato maggiori introiti, ma Eric, James e Jeff non la colsero, nonostante fossero in grado di crearne una anche loro.

L’esperienza di Wodache è finita, quindi, con un ritorno in America dei tre giovani imprenditori. “Se mi chiedete se ci riproverei, sapendo già come andrebbe a finire” conclude James “Vi risponderei che tornerei in Cina e rifarei tutto dall’inizio alla fine. È stata un’esperienza che è valsa la pena vivere”. Gli startupper sono stati fieri di averci provato, di aver fallito e sono già pronti a ripartire con altri progetti. Perché basta qualche accorgimento in più ed il risultato potrebbe essere perfetto.

Ma ricordiamoci che se anche si vuole fare una società a vocazione sociale, necessaria la presenza di un modello di business alle spalle.

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