Rewinery: vino a domicilio? Ko in pochi mesi

Rewinery: vino a domicilio

“Vogliamo cambiare il modo in cui le persone comprano il vino, facendo diventare la sua scoperta una cosa divertente, facile e immediata.”

Questo era l’obiettivo e la promessa di Rewinery, start up nata all’inizio del 2012 dall’idea di due amici, Joana Koiller e Paulo Lerner. Il servizio offerto è ben conosciuto e sviluppato da molti: ordinare merce (in questo caso vino) on line e riceverla comodamente a casa, in ufficio o dovunque si desideri. La prestazione, in questo caso, era disponibile solo per San Francisco, ma nei piani dei due soci avrebbe dovuto raggiungere altri importanti centri degli Stati Uniti come New York e Boston. Peccato che non tutto sia andato secondo i piani.

Proviamo a tornare all’origine di questa idea. Joanna e Paulo erano amici fin dai tempi delle scuole superiori, a Rio de Janeiro. Dopo aver lavorato insieme ad alcuni progetti, decisero di iniziare un’avventura nuova, quella di Rewinery appunto. Fu in particolare il trasferimento dal Brasile agli Stati Uniti ad aiutare i due amici ad elaborare questa idea, come spiega Joanna: “Il padre di Paulo era un grande collezionista di vini, quindi in Brasile non abbiamo mai dovuto pensare a quale vino comprare. Una volta trasferiti, invece, abbiamo capito quanto fosse difficile e frustrante trovarsi davanti agli scaffali e non sapere cosa comprare”. Insomma era chiaro, per loro, che l’industria del vino non era interessata ad aiutare i consumatori casuali a scegliere una bottiglia, concentrandosi per la maggior parte sugli appassionati.

L’idea di partenza, quindi, era di creare un sistema che consigliasse e aiutasse gli inesperti a scegliere il vino più giusto in base alle loro esigenze.

Ma ben presto capirono che questo non bastava. Una volta dato il consiglio, era difficile anche orientarsi tra le centinaia di etichette e comprare fisicamente la bottiglia raccomandata. Ecco qui, allora, l’origine di Rewinery: un servizio completo, che permetteva di avere una vasta gamma di buone etichette tra cui scegliere, a un prezzo accessibile e in tempi molto rapidi.

Rewinery ko

Con Rewinery, infatti, si potevano ordinare due o tre bottiglie da una selezione di vini di tutto il mondo e farle arrivare all’indirizzo voluto in tempi brevissimi, addirittura nel giro di un’ora, appoggiandosi a un servizio di corriere espresso. Questo doveva essere il punto di forza della start up: “Per chi beve vino, esso è come il cibo. Il 90% delle consegne di vino negli Stati Uniti viene consumato nel giro di un’ora. – spiega Joanna Koiller – Aspettare una settimana per ricevere la bottiglia ordinata non è ben visto dai consumatori, così come nessuno aspetterebbe una settimana per vedersi consegnare una pizza”.

Rewinery ebbe un successo immediato, diventando in poco tempo uno dei servizi più apprezzati e utilizzati di San Francisco proprio grazie alla tempestività con cui venivano evasi gli ordini. Cos’ha portato, quindi, alla sua prematura chiusura, proprio qualche giorno fa, il 29 novembre?

La start up, secondo quanto affermato dai due fondatori, stava andando avanti da più di un anno senza capitali esterni e ad un certo punto non ce l’ha più fatta.

Anche altri fattori hanno contribuito a scrivere la parola fine alla storia di Rewinery: i problemi con i fornitori, il servizio di reso gratuito che non ha di sicuro aiutato il bilancio della start up, così come la promessa di tempistiche fin troppo rapide.

Più si accorciano i tempi di consegna e più aumentano gli ordini, più il servizio da prestare diventa difficile e costoso.

Qual è, quindi, la lezione che possiamo apprendere da Rewinery?

Anche se una start up viene accolta con entusiasmo può fallire se mancano i soldi. L’idea di Joanna e Paulo sarebbe stata molto buona, specialmente se fossero riusciti ad ampliare la loro rete distributiva anche in altre grandi città statunitensi. Tuttavia, non doveva essere trascurato che un servizio come quello offerto da Rewinery esigeva delle spese non indifferenti e che, quindi, era necessario muoversi a cercare qualche finanziatore.

Soprattutto in una fase di “establishment”, quando è necessario arrivare ad una massa critica per cui aumentano le economie di scala (banalmente, il prezzo di acquisto del vino presso i fornitori ma non solo).

Insomma, come nel caso di Boompa, le idee, per quanto buone e di successo, non sono sufficienti a portare avanti un’azienda e, a meno che non si viva nel mondo dei sogni, questa è cosa ben nota. Magari un bel promemoria di “Cash is the King” mandato a tutti questi ambiziosi nuovi imprenditori potrebbe essere d’aiuto!

E in questo caso, forse, anche il nuovo sistema di trasporto aereo di Amazon :-) .

6 Comments

  1. Chiedo scusa per l’ignoranza… ma… non capisco come in questo caso il “cash” possa essere un problema.
    Una startup ben avviata, negli USA per giunta, a San Francisco (ben localizzata) e soprattutto ben percepita… che genera immediatamente entrate e quindi si trasforma immediatamente in un’impresa con delle entrate… di che soldi ha bisogno?
    Se deve sviluppare i propri servizi, dal momento che genera già un fatturato e dei margini, o investe il denaro guadagnato o richiede dei prestiti bancari o eventualmente (ma eventualmente) denaro da investitori. Ma il più (ovvero “partire” ed “affermarsi”) mi pare già stato fatto.
    Il vero problema secondo me non è il “denaro” ma il modello di business. E’ quello che non ha funzionato.
    Sicuramente come viene detto nell’articolo il primo problema sono stati i tempi promessi: attenzione a promettere senza avere la certezza di poter mantenere! E’ molto rischioso!
    Seconda cosa, sempre come riportato nell’articolo: il resto gratuito. Molto rischioso anch’esso. Molto, molto rischioso (per quanto inevitabile dato che il consumatore ha il diritto di cambiare la merce acquistata!
    “Cash is the king”, è vero. Ma temo che l’anello debole della catena qui fosse ben altro: semplicemente il gioco non riusciva a stare in piedi così come era stato pensato.
    PS: grazie mille per aver parlato di questa startup che non conoscevo e mi scuso per aver parlato, appunto, senza conoscerla. Ovviamente le mie impressioni nascono puramente da quanto letto qui ^_^

    Reply
  2. Chiedo scusa in anticipo per il commento OT, ma non ho trovato un posto piu adeguato dove inserirlo.
    Ma veniamo subito al dunque: finora sono state analizzate le situazioni e le imprese piu disparate, con esempi che spaziono sia da un settore all’altro, che da una regione o un continente all’altro. Tutto questo sempre racimolando informazioni su internet e spulciando qualche post-mortem scritto dai vari CEO di turno (questa la mia deduzione dai link che vedo apparire nei vari articoli). Ora pero, leggendo la sezione “about me”, la domanda mi sorge spontanea: perche non raccontare l’esperienza vissuta in prima persona durante la costituzione dell’azienda che doveva produrre t-shirt? A quel punto sarebbe possibile attingere ad una serie infinita di considerazioni fatte in prima persona, senza alcun filtro e senza interpretazioni varie, potendo cosi rispondere direttamente a domande del tipo:
    – cosa non è andato come previsto?
    – cosa non era stato pianificato? (e quindi cosa è stato improvvisato)
    – quali le scelte, le idee e le intuizioni sbagliate? (ma anche quali quelle giuste)
    – come era stata condotta la ricerca di mercato?
    – quali contatti erano stati presi (fornitori, venditori al dettaglio, …) in fase di pianificazione?
    – come è stato sponsorizzato o si pensava di sponsorizzare il prodotto in questione?
    ecc.ecc.

    Non potendo negare una grande curiosita riguardo alle risposte per queste domande, posso solo ribadire quello che a mio avviso sarebbe un’ottima (ulteriore) opportunita didattica per chi segue il blog.

    Grazie ad andrea e saluti a tutti.

    Reply
  3. ciao Marco, prometto lo farò a breve. Grazie per lo spunto (considerando un’esperienza piccola, pensavo potesse non interessare). Lo farò a breve. Buona giornata

    Reply

Leave a Reply