Singularity University – Un’esperienza straordinaria

Singularity University

Cura del cancro, biologia digitale, intelligenza artificiale, crescita 10x vs. 10%, tecnologie esponenziali, cambiamenti, lettura del DNA, nanotecnologie, robotica, intelligenza artificiale, prototipizzazioni continue, energie naturali infinite, internet of everything, vita. Sfide mondiali che segnano la svolta per almeno 1 miliardo di persone. Crescita.

E convinzione che nel futuro prossimo anche l’Italia possa giocare un ruolo da grande protagonista.

Ecco, in queste righe, cosa è stata per me l’esperienza alla Singularity University.
Ecco cosa rappresenteranno nella mia vita i 10 giorni trascorsi presso la Base Nasa Richard Ames a Moffett Field, in mezzo alla Sunnyvale Californiana, circondato dalle sedi delle società che stanno facendo la storia del mondo: Google, Facebook, AirBnB, Uber, e chi più ne ha più ne metta.

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Lightsquared, ovvero come dare fondo a 265 milioni di dollari senza risultati

LightSquared

È più importante il segnale GPS oppure Internet su tablet ed IPhone? Rispondendo correttamente a questa domanda capirete perché la startup LightSquared ed il suo proposito di realizzare una rete wireless 4G ad alta velocità siano falliti nel 2012.

L’avventura di questa azienda americana con base in Virginia ha avuto inizio nel 1988, con la American Mobile Satellite Corporation, trasformatasi, tra un’acquisizione e l’altra, prima in Mobile Satellite Ventures, poi in SkyTerra e, infine, nel 2010, in LightSquared.

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Non è bello fallire e non si diventa più sexy quando succede

Meglio non fallire

In questi anni va molto di moda scrivere che il fallimento è salutare, che è molto utile fallire, che solo in questo modo si diventa più sexy per gli investitori.

“Fail fast and restart”,  “se non fallisci gli investitori americani nemmeno ti guardano” “meglio fallire che avere successo soprattutto all’inizio”.

Palle. Enormi palle.

Ma chi scrive queste cose veramente pensa, ad esempio, che è meglio investire 100 mila euro su una nuova idea di un imprenditore che ha appena chiuso la sua startup rispetto a chi ha, ad esempio, appena avuto successo vendendo la sua azienda? Un investitore preferisce di gran lunga affidare i propri soldi a chi ha un track record di successi, a chi è riuscito ad evitarli i fallimenti.

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La guerra nei sistemi di pagamento online miete una vittima: Balanced

Balanced Logo

Il mercato dei sistemi di pagamento online è considerato ormai uno dei più competitivi e più critici, per l’importanza che riveste, per i prossimi anni. I tassi di crescita sono ancora importanti e come ha recentemente dichiarato il numero 1 di JP Morgan: “sarà una startup in Silicon Valley a rappresentare la fine della nostra attività”.

Non stupisce quindi che questo sia un mercato dove sono decine le aziende e le startup che cercano di ritagliarsi uno spazio. Tra le più importanti ricordo WePay, Dwolla, Braintree, Amazon Payments and PayPal. Ma anche Apple sembra voglia investire in questo mercato. Senza dimenticarci del “fenomeno” bitcoin.

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Banters: un’idea interessante ma una cattiva esecuzione. Poteva essere What’s App?

Banters

Quante volte vi è capitato di assistere ad uno scambio di battute memorabile con i vostri colleghi? O di sentire i vostri figli uscirsene con frasi degne di restare impresse negli annali famigliari? O ancora di avere un pensiero speciale e di volerlo condividere e commentare con gli amici? Perché collezionare solo fotografie e immagini di momenti magici e non le frasi più pregne di significato?

Lauren Leto e Patrick Moberg, nel 2010, hanno pensato e sviluppato una startup proprio per realizzare questo sogno: Banters. Grazie a questo sito, infatti, chiunque poteva pubblicare frasi e conversazioni sul web. Inizialmente il servizio si concentrava sugli SMS, ma rapidamente venne adattato per condividere anche chat, e-mail, tweet e molto altro, il tutto su una piattaforma utilizzabile sia su iPhone sia su sistemi Android. L’idea era sicuramente innovativa, ma nel maggio del 2012, con un post pubblicato sul proprio blog, Banters annunciò l’uscita dal mercato.

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Chiude definitivamente I’m Watch, il primo smartwatch al mondo (e italiano)

I'm watch

Un anno fa avevamo profetizzato come, per la società italiana che produceva gli I’m watch, sarebbe stato molto difficile sopravvivere nel mercato degli smartwatch. Sia per l’alto livello competitivo sia, a nostro avviso, per diverse scelte non corrette da un punto di vista strategico e di business. E di prodotto.

Purtroppo proprio oggi dalle pagine del Corriere della Sera si apprende che la società ha definitivamente messo in cantina l’idea di continuare a sviluppare il proprio Smart Watch. Peccato! Non ci piace essere uccelli del malaugurio, ma la direzione ai nostri occhi era molto chiara.

Le cause? Certo, quando i tuoi concorrenti si chiamano Samsung, Motorola ed Apple la battaglia è dura.

Ma allora perché Pebble ce la sta facendo?

Pebble
Siamo comunque certi che i due giovani imprenditori troveranno la loro strada. A loro va il nostro più forte in bocca al lupo!

Kiko: quando da un fallimento nascono nuove idee e nuovi progetti, anche di successo

kiko

Capita, a volte, che una start up abbia un destino segnato fin dall’inizio perché l’idea di partenza, semplicemente, non è un granché. Capita anche che chi ha avuto questa idea abbia l’intuizione di chiudere prima che sia troppo tardi e, anzi, usare la fine di un’avventura per iniziarne un’altra con esito decisamente migliore. È il caso di Kiko.

Kiko nasce nel 2005 da un’idea di Justin Kan ed Emmet Shear, due imprenditori Internet conosciutisi durante gli studi a Yale, dove entrambi si sarebbero poi laureati. Il progetto consisteva nel creare un vero e proprio calendario on line, realizzato con Ajax, strumento messo a disposizione per codice javascript, facile da utilizzare e gratuito, che desse la possibilità di accedere da dispositivi mobili e di poter condividere i propri impegni con altri contatti. Insomma, tutte quelle cose che facciamo quotidianamente anche con Google Calendar. Continue reading