Musica in streaming mondo dorato? Chiedete a chi ha investito 125 M di dollari in Rdio

Rdio

125,7 M $ raccolti.

Si, avete letto bene. Centoventicinque virgola sette milioni di dollari.

Founder da paura: i miliardari già creatori (con relative exit alle spalle) di  Skype e Kazaa.

Tutto facile sembrerebbe no? Finanziamenti, mercato emergente, team straordinario.

Ma allora perché con questo mix perfetto si è arrivati al fallimento in poco più di 3 anni?

Andiamo con ordine.

Rdio è stata creata da Niklas Zennström e Janus Friis, straordinari interpreti dell’imprenditorialità digitale avendo fondato precedentemente sia Skype sia il software peer-2-peer Kazaa.  Un pedigree di assoluto valore.

Rdio fa parte del primo filone dello streaming musicale più moderno, assieme ad altre società come Rhapsody (penso sia il primo sistema di musica in streaming, nel 2002-2003), Deezer, MOG, Napster se volete e dal 2011 Spotify.

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Rdio iniziò le operation nell’agosto 2010, con circa 7 milioni di canzoni (attualmente i grandi player ne offrono circa 30 milioni) con un servizio in abbonamento da 5 dollari al mese per ascoltarti la musica che preferivi.

All’inizio le cose andavano sicuramente bene. I feedback erano entuasiasti e gli utilizzatori di Rdio si sentivano “cool” : design ben fatto, semplificazione nell’utilizzo della scelta dell’album da ascoltare, interessanti funzionalità social (tra le altre cose si poteva vedere in real time cosa ascoltavano i tuoi amici o scegliere una canzone tra le più ascoltate tra le proprie cerchie di conoscenti). Sull’idea portante del progetto che “the best music recommendations come from the people you know”.

Malgrado però anche l’apertura in una decina di paesi, non riuscì però mai a competere in modo adeguato nel mercato e quando anche operatori molti dinamici come Tinder o giganti come Apple Music, Google e Youtube hanno fiutato l’affare beh… il destino era probabilmente già segnato.

Infatti la storia di Rdio finisce nel 2015 dopo una lenta agonia, con la svendita alla web radio Pandora degli unici asset di valori rimasti (essenzialmente la tecnologia).

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Con la solita consapevolezza che col senno di poi è molto più facile analizzare gli errori, cerchiamo di capire i motivi che hanno portato al fallimento.

Prima motivazione : modello di business errato.

Il servizio di Rdio era a pagamento (5$ al mese). Spotify arrivato quasi un anno dopo offriva e offre un servizio base gratuito e solo un servizio premium a pagamento.

Risultato:  nel 2013 Spotify aveva già 24 milioni di utenti di cui 6 a pagamento.

Seconda  motivazione: troppa focalizzazione sul Prodotto, poca  sul Marketing e sulla Distribuzione.

Il prodotto era bello e funzionava molto bene ma… nei primi 3 anni di vita non è esistito all’interno dell’azienda una figura di Responsabile/Direttore Marketing.

Per dare un’idea: già nel dicembre 2010 nella Bay Area si parlava più dell’arrivo imminente di Spotify rispetto alla stessa Rdio che era già operativa.

Terza Motivazione: gestione errata della scelte successive.

Col sistema pay per subscirverer hanno cercato di essere sostenibili troppo presto? Hanno ragionato tropo da impresa old style rispetto alle startup venture baked?

Rdio, già in enorme difficoltà, decise :

a) di creare un servizio gratuito (per ricalcare il modello Spotify)

b) di cedere parte dell’azienda in cambio di spazio promozionale a Cumulus Media (società che gestisce oltre 500 stazioni radio)

Ma ormai era però troppo tardi.

Gli economics del settore non mentono. Nella musica streming  le etichette si prendono la fetta più grossa e per andare a break even è necessario fare volumi mostruosi (per questo Spotify ha raccolto più di 1 milioardo di $).

Quarta motivazione: perdita del focus.

In un tentativo di sopravvivenza disperata, cercarono di diventare una web radio. Ma più che quarta motivazione, la possiamo definire la voglia di accelerare la propria morte.

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