Editorially: modello di business sbagliato, ma l’idea c’era

Storia di un fallimento che poteva essere evitato

Avete presente la romantica immagine di uno scrittore, nascosto in una solitaria casa di campagna, che riempie di parole e di storie un foglio bianco seguendo il flusso dei suoi pensieri, alla ricerca di una sempre maggiore ispirazione?

Bene, dimenticatela! Mandy Brown creatrice e CEO di Editorially, partiva proprio dal presupposto contrario: scrivere è diventato un processo che prevede la collaborazione tra più persone, chi fa la bozza, chi la controlla, chi la modifica, chi la prepara per la pubblicazione. Per rendere più semplice la cooperazione tra queste diverse figure, Mandy, editor esperta nella pubblicazione di libri sul Web Design, aveva creato la sua startup il cui motto era “Editorially makes collaborative writing easy”.

L’avventura di Mandy Brown e della sua squadra, composta da Jason Santa Maria, Ethan Marcotte, David Yee e Rob Brackett, era iniziata nel febbraio del 2013 con l’obiettivo di far funzionare al meglio il processo editoriale, sfruttando soprattutto il lavoro collaborativo di team remoti. Sì, perché “nella comunità tecnologica di oggi, il lavoro a distanza ha alcuni vantaggi evidenti. Per il datore di lavoro, ad esempio, consente l’assunzione di un insieme più eterogeneo di dipendenti” proveniente da diverse parti del mondo.

In che modo Editorially aiutava i suoi utenti? Dando la possibilità a diverse persone di lavorare sulle versioni successive di uno stesso documento. Editorially era, infatti, un document editor rigidamente incentrato sulla composizione: la schermata di modifica era un enorme campo vuoto con poche opzioni che permettevano di redigere qualsiasi tipo di documento. Grazie a Markdown, tra l’altro, un tool di conversione da testo a HTML davvero semplice ed intuitivo, per scrivere sul web si dovevano solo imparare un paio di codici di formattazione. “Se sei capace di usare un emoticon, hai tutti i mezzi per imparare il Markdown”. Gli utenti potevano, inoltre, invitare collaboratori ai quali veniva data l’autorizzazione a intervenire a loro volta sul testo. Molto interessante era anche la possibilità di tenere traccia di ogni modifica grazie ad una timeline che permetteva di tornare indietro alle versioni precedenti del documento.

Schermata di utilizzo di Editorially

Schermata di utilizzo di Editorially

Ottima idea, dunque, accolta con grande entusiasmo dal pubblico. Purtroppo, però, se ne parliamo in questa sede è perché, a febbraio 2014, Editorially ha chiuso i battenti. Qual è la ragione?

Sul blog della startup, nel messaggio di arrivederci, lo staff ha scritto “non siamo riusciti ad attirare abbastanza utenti per rendere il business sostenibile e, onestamente, non abbiamo alcuna ragione per pensare che questa situazione cambierà”.

Una problematica già vista, anche per prodotti che potrebbero, a prima vista, sembrare eccellenti. E la mancanza di utenti, purtroppo, è come un sassolino che innesca una valanga: pochi users portano a pochi introiti, pochi introiti portano ad una riluttanza da parte di terze persone ad elargire finanziamenti, pochi fondi portano all’impossibilità di evolvere la startup, migliorandola, cambiandola o rendendola insostituibile. Soprattutto se è gratuita.

Tra i commenti e le review postate sul web riguardo Editorially, tra l’altro, oltre ad una incredibile quantità di opinioni davvero entusiaste, ho trovato anche qualche appunto tecnico sul prodotto stesso. La problematica maggiormente riscontrata dagli utenti era l’impossibilità di lavorare contemporaneamente sul medesimo documento. Solo una persona alla volta, infatti, poteva modificare la bozza. Caratteristica, questa, che sembrava cozzare con l’idea di collaborazione portata avanti dagli ideatori della startup. Un altro piccolo appunto riguardava le funzioni di import ed export: a settembre, infatti, non c’era ancora la possibilità di esportare ciò che si scriveva con Editorially su altri servizi web come Evernote o Google Docs. La mancanza del correttore automatico e del conteggio di parole erano altri piccoli scogli da superare se si sceglieva di utilizzare Editorially. Niente di impossibile da migliorare, in ogni caso.

A questo aggiungete qualche sporadico commento degli amanti della formattazione “Credo che formattare SIA parte del processo di scrittura, non solo qualcosa da fare DOPO. Io, ad esempio, vorrei avere la possibilità di mettere in corsivo le parole che voglio mentre le sto scrivendo”. Di nuovo niente di così insormontabile.

In conclusione, credo che ad Editorially sarebbe semplicemente bastato qualche mese in più per interiorizzare i commenti degli utenti e capire quali migliorie apportare ad un prodotto già buono. Che avrebbe potuto attrarre tantissimi utenti in più, alcuni dei quali disposti, quasi sicuramente, anche a pagare per utilizzare uno strumento del genere.

Una chiusura davvero troppo affrettata, dunque, che riporta il mondo della scrittura collaborativa al punto di partenza, in attesa di uno strumento migliore di quelli già esistenti – Draft, Google Docs, Quip – e che, soprattutto, voglia tentare ogni strada possibile per sopravvivere, senza arrendersi troppo in fretta.

Nome startup: Editorially
Categoria/Tipologia:
piattaforma per la scrittura collettiva   
Luogo:
Brooklyn, New York (Stati Uniti)
Anno di nascita:
2013
Anno di morte:
2014

Principali cause del fallimento

Team: il problema più grande di Editorially sembra essere stata l’incredibile fretta che ha spinto il team di sviluppatori a chiudere la startup, senza darle grandi possibilità di crescita. Peccato, perché il prodotto c’era, lo si doveva solo perfezionare.

Modello di business: se Mandy Brown e soci avessero puntato sulle grandi aziende, probabilmente il document editor avrebbe avuto più successo e perlomeno avrebbero avuto da subito un fatturato.

Prodotto: Editorially presentava qualche piccola imperfezione, la più macroscopica era l’impossibilità di lavorare in due contemporaneamente allo stesso lavoro. Ribadisco, però, ancora una volta, niente che non si potesse migliorare.


6 Comments

    • grazie 1000 per la segnalazione, dovrei aver sistemato! grazie anche per il complimento, fa sempre piacere ciao

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  1. Ciao Andrea, innanzitutto grazie per gli articoli sempre molto interessanti.
    Alcuni dubbi riguardo a questo in particolare: da un punto di vista “qualitativo” capisco perfettamente la tua analisi e la tua “ricetta”, che se non ho inteso male consiste fondamentalmente nel migliorare il prodotto seguendo i suggerimenti – ovvero i bisogni – degli utenti e nel posticiparne l’eventuale chiusura. Ma anche qui la domanda sorgerebbe spontanea: da un punto di vista quantitativo, quali dati ti inducono a pensare che lo sforzo attuato in questa direzione non avrebbe avuto come risultato finale soltanto quello di ottenere perdite maggiori per chi investiva soldi e tempo nel progetto? Mi sono perso qualche numero? Infondo se loro stessi affermano di non avere “alcuna ragione per pensare che questa situazione cambierà”, è possibile immaginare che qualche conto in tasca se lo siano gia fatto, o anche qui secondo te ci sono delle precisazioni da fare?

    Ti saluto e ti ringrazio nuovamente.

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    • Ciao Marco,
      grazie per i complimenti e per aver trovato il tempo di lasciare un commento.
      A mio avviso i ragazzi dietro Editorially avrebbero dovuto investire più tempo per provare a vendere il loro servizio direttamente con una modalità b2b, ossia vendere il servizio alle aziende.
      Sicuramente la strada attuata, b2c, non avrebbe portato ricavi sufficienti per sopravvivere anche se avessero aspettato più tempo e avrebbero probabilmente aumentato le perdite.
      C’è da dire che dei grandi nomi e delle grandi startup di cui si sente parlare oggi, mi riferisco a quelle US based, sono tutte molto finanziate anche se non producono reddito ma solo fatturato e traffico/utenti. Significa che se in Italia sarebbe impensabile una situazione simile (se per tre anni di fila sei in perdita di fatto sei quasi “costretto” a chiudere la tua azienda) in america se gli indicatori girano e se la crescita prosegue a ritmi serrati i finanziamenti ti tengono alive.
      Questa ovviamente è solo un’opinione personale, senza pretesa di avere in tasca la Bibbia.
      Grazie ancora, ciao
      andrea

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  2. Complimenti come sempre 😉
    Personalmente sono venuto a conoscenza di 20lines che penso faccia un po’ la stessa cosa. Ma dal poco che ho visto la fa meglio e questo permette ti rimanere sul “mercato”. L’idea è ottima (confesso di averne sentito il bisogno circa 10 anni fa ma erano altri tempi) e 20lines spesso coinvolge grandi nomi che iniziano racconti e storie: le persone sono entusiaste nel collaborare in opere iniziate da grandi autori.
    A volte la cosa più difficile è saper ascoltare i FEEDBACK e soprattutto METTERE IN PRATICA buona parte delle reichieste.
    A volte sono terrorizzato di partire con la mia, ma ovviamente spero vada meglio ^_^

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